In un determinato momento della loro storia evolutiva le piante hanno cominciato a servirsi degli animali, adoperandoli come importanti impollinatori. Questa novità rappresenta un turning point, oltre che un momento di grande curiosità: potremmo definirlo un intreccio tra due rami della vita, un punto del tempo in cui due storie parallele, quella delle piante e quella degli animali, si spezzano, toccandosi.
Le Angiosperme, ovvero le piante che presentano gli ovuli racchiusi in un ovario e che sono evolutivamente le più recenti, utilizzano frequentemente gli animali come vettori per il trasferimento del polline. Pensiamo per esempio ad un bombo (Bombus terrestris) attirato dai colori dello zafferano selvatico (Crocus sp.) durante le prime giornate assolate tra Marzo e Febbraio: ronzando placidamente sopra il tappeto di foglie ormai secche si poserà su molti fiori alla ricerca di nettare e polline. A contatto con gli stami dello zafferano la sua soffice peluria andrà riempiendosi di polline destinato poi a cadere su un fiore o su un altro. Il polline, che trasporta le cellule sessuali maschili, feconda la cellula uovo contenuta nell’ovario del fiore che lo ha accolto, e così pian piano inizia lo sviluppo del seme che darà vita ad un nuovo zafferano selvatico. Avviene così una buona parte dell’impollinazione in molte piante a fiore, un accoppiamento a distanza. Inoltre gli insetti impollinatori non solo fungono da vettore per il polline, ma svolgono anche un ruolo importante nell’isolamento riproduttivo contribuendo alla formazione di nuove specie: se il nostro bombo decidesse per qualche motivo di posarsi solo su zafferani selvatici che presentano petali striati, generazione dopo generazione potrebbe isolarsi una nuova specie favorita da un’elevata frequenza riproduttiva. Come accade di norma in natura, nel tempo questo rapporto tra piante ed impollinatori si è evoluto acquisendo mille sfaccettature e tratti affascinanti.
Un posto di rilievo in questa millenaria storia lo meritano le orchidee, una famiglia di piante a fiore con un grande numero di specie, forme e varietà. In Italia le orchidee spontanee contano circa 200 specie. Nella relazione tra questi bellissimi fiori ed i loro impollinatori la varietà che ci si presenta davanti, tra rapporti estremamente specifici ed isolati, ricompense offerte, promesse non mantenute e strategici inganni, può darci un’idea della corsa frenetica che accade tutte le primavere nei nostri prati per accaparrarsi il premio della riproduzione. Il gruppo di orchidee del genere Ophrys inganna gli impollinatori sfoggiando un petalo che imita la forma ed i colori della femmina di uno o più specie di insetti (Figura 1). Il maschio della specie di insetto in questione, tratto in inganno, si poserà sul petalo nel tentativo di accoppiarsi, ricoprendosi di una buona dose di polline che trasporterà poi ad altri fiori; tutta la messa in scena viene resa più credibile da una combinazione di feromoni sessuali tipici della femmina, che la pianta produce in abbondanza!2 .
Uno dei tanti esempi è la specie Ophrys speculum, l’“ofride specchio”, che nel tempo si è specializzata ad ingannare solo e soltanto la specie di vespa Dasyscolia ciliata, affidando il suo destino riproduttivo ad essa1. Se dovesse scomparire la vespa Dasyscolia ciliata, cosa ne sarebbe del fiore che generazione dopo generazione ha speso tempo ed energie nel tentativo di rendersene una perfetta imitazione? Proviamo ora a cambiare prospettiva: di contro infatti, quanto costa alla vespa questa truffa? L’inganno sessuale lascia i malcapitati insetti in una condizione di nulla di fatto: hanno investito tempo ed energia in una riproduzione che non è avvenuta; non a caso alcuni studiosi definiscono questo rapporto “Ospite-Parassita”3. Sembra che questo trucco così sofisticato si sia evoluto nel tempo tra specie di orchidee in tutto il mondo1; in Italia oltre al gruppo delle orchidee Ophrys anche una specie del genere Serapias, la Serapias lingua, pare ricorrere a questo inganno sessuale come strategia riproduttiva4, discostandosi dalle altre specie sorelle del genere Serapias che non mancano però di inventiva: i petali dei loro fiori si fondono formando un corto tubo che imita una sorta di cavernetta. Questo piccolo buco può fungere da riparo per la notte accogliendo l’insetto che al crepuscolo si posa dentro di esso, cospargendosi anche questa volta di polline della piante ospitante (Figura 2) 5.
Il vantaggio principale che un’orchidea ottiene ingannando l’insetto è sotto gli occhi di tutti: riproduzione assicurata senza produrre nettare, senza spendersi nel dare ricompense che sottraggano energia alla pianta stessa. Ma c’è un altro vantaggio, forse maggiore, anche se più complicato da notare. Facciamo una premessa: in molti casi le piante cercano di evitare, dove possibile, l’autofecondazione (letteralmente fiore che si “autoimpollina”). Questo evento riduce infatti la variabilità genetica ed anche, nel caso delle piante, la geitonogamia, ovvero l’impollinazione di un altro fiore, presente però sulla stessa pianta. Gli inganni adottati dalle orchidee permettono loro di aggirare queste meccaniche riproduttive svantaggiose; ma in che modo? Sembrerebbe che portino l’insetto maschio ad allontanarsi velocemente e adeguatamente una volta smascherata la messinscena, evitando quindi che questo si posi su altri fiori della stessa pianta. Da uno studio del 2004 incentrato sull’orchidea Anacamptis morio, specie ingannatrice che finge l’offerta di nettare anche se ne risulta in realtà priva, si è osservato come aggiungendo artificialmente nettare sul fiore i suoi insetti impollinatori, solitamente del genere Bombus, passino più tempo sullo stesso fiore e su fiori limitrofi anche della stessa pianta favorendo la geitonogamia6.
Per concludere diamo qualche cruda sfumatura a questo quadro così movimentato: se in una passeggiata vi capitasse di adocchiare una delle coloratissime orchidee italiane avvicinatevi ed osservatela con attenzione, perchè potreste scorgere tra i suoi fiori, perfettamente mimetizzato e pronto all’attacco, il ragno granchio Thomisus onustus, il quale sfrutta la relazione di cui abbiamo fin qui parlato sottraendo gli impollinatori ingannati dalla pianta, per farne un sostanzioso pasto (Figura 3)7.
Bibliografia :
1. “Orchidee d’Italia”, Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee. II Edizione, 2016
Foto in Copertina (Himantoglossum adriaticum), Figura 1, Figura 2: Pietro Montemurro.