Gli esseri umani non vedono le piante.
Basta una breve ricerca sul web per capire come quella che sembra una frase provocatoria sia in realtà un problema ben noto, tanto da meritare un nome tutto suo: plant awareness disparity o disparità nel riconoscere le piante. Più comunemente conosciuta con il termine più accattivante di cecità vegetale, questa voce si vuole sostituire per la connotazione abilista che legherebbe una disabilità1 ad una generale “incapacità di vedere o notare le piante nel proprio ambiente”2.
<<Manie di grandezza dei botanici>> può essere un primo pensiero. Dopotutto, persino ora mentre scrivo ho una pianta poggiata accanto, e mi sembra di vederla benissimo.
La definizione va però oltre: questa mancanza di considerazione infatti non è un problema strettamente visivo ma si riferisce alla “inabilità di apprezzare le caratteristiche biologiche ed estetiche uniche delle piante e alla sbagliata, antropocentrica, classificazione delle piante come inferiori agli animali, arrivando alla conclusione erronea che non sono degne di considerazione umana”, portando quindi “all’impossibilità di riconoscere l’importanza delle piante nella biosfera e negli affari umani”2.
Già la portata della cosa inizia ad essere un po’ più chiara, ed a rivelarsi in effetti molto meno banale di quanto si pensasse. Il botanico e divulgatore Stefano Mancuso la descrive in maniera illuminante:
“Immaginiamo che al posto di ogni singolo filo d’erba ci sia un verme, uno scarabeo o un insetto di pari massa. I prati si trasformeranno così da quiete distese verdi, in un pullulare di vita strisciante. Ora al posto di ogni cespuglio sistemate un animale di dimensioni consone: un topolino, un pollo o un coniglio per i cespi più piccoli; una pecora o una capra per gli arbusti più grandi. E, infine, trasformate in asini, cavalli, mucche e in animali via via più pesanti: bufali, rinoceronti, elefanti e balene, ognuno degli infiniti alberi dei boschi. Riuscite a visualizzare questo brulicare di carne intorno a voi? (…) Allora di sicuro vi starà mancando il respiro, così circondati da questa enorme e mai vista prima, massa di animali. (…) Trasformando la massa delle piante in una equivalente massa animale, ne sentite subito la smisurata quantità.”3
Effettivamente, anche solo il fatto che molti conoscano i nomi e l’aspetto di questi animali ma non di altrettante specie vegetali, dovrebbe essere un campanello di allarme. Le piante sono esseri viventi a tutti gli effetti: anche se prive di grandi occhi, movenze buffe, e versi curiosi, possiedono comunque una biologia complessa, ed una loro propria storia evolutiva. Interagiscono e si adattano attivamente all’ambiente circostante, si scambiano informazioni e nutrienti, sviluppano strategie per sopravvivere, competono tra loro, si difendono, migrano persino. Allora perché questa poca considerazione?
Una prima spiegazione è rassicurante. Non siamo così incentrati su noi stessi, ma tendiamo a mettere le piante in secondo piano a causa della nostra evoluzione. Non essendo possibile per il nostro cervello assimilare tutte le informazioni che gli arrivano dall’esterno nello stesso momento, la precedenza viene data a tutto ciò che potrebbe rappresentare un’ immediata minaccia4. Le piante sono passate in secondo piano perché “non si muovono, rimangono sempre sullo sfondo e non mangiano gli uomini”3. Questioni di priorità.
Il problema è che in natura, e per noi esseri umani come parte di essa, le spiegazioni semplici non possono essere una giustificazione per tutto. Ad oggi si stima che 2 piante su 5 siano a rischio di estinzione5 e sullo sfondo, la cosa, non può certo rimanere. Da un lato si tratta di una questione di responsabilità, ma dall’altro di grandi debiti.
Nonostante la nostra impronta sul pianeta sia innegabile, noi esseri umani siamo solo uno dei tanti attori sul palco. Il mondo così come lo conosciamo è frutto dell’azione, l’atto, di ognuno di questi performer, raffinato nel corso del tempo. Il tanto apparentemente passivo mondo vegetale non manca del suo ruolo.
La capacità di fare fotosintesi, ovvero di potersi produrre il proprio nutrimento sotto forma di zuccheri complessi utilizzando l’energia del sole, la CO2 dall’aria e l’acqua dal suolo, è probabilmente la prima cosa che viene in mente. L’ossigeno, “prodotto collaterale” di questo fenomeno, è di fatto l’elemento alla base di quella che oggi conosciamo come vita. Nonostante i primissimi organismi capaci di fotosintetizzare siano stati dei batteri, le piante, sviluppando successivamente sistemi e strutture più elaborati, hanno dato il via ad una cascata di questi “effetti collaterali”. Nuovi composti sono stati resi disponibili, liberati dalle rocce dove erano intrappolati, i cicli biogeochimici sono stati alterati6, cambiamenti impressionanti causati dall’azione sommata di tanti piccoli individui. Anche oggi, il mondo vegetale contribuisce a mediare fenomeni ad una scala molto più grande. Lo stesso processo che permette la formazione dell’ossigeno che ci mantiene in vita garantisce di eliminare dall’aria la CO2, rendendo il mondo vegetale un vero e proprio sink, pozzo di stoccaggio naturale, di uno dei più noti gas serra. Ma c’è di più:la stessa natura di “pompe di acqua”7 delle piante. L’acqua, una volta sottratta dal terreno “aspirata” dalle radici, attraversa l’intera struttura della pianta in fase liquida, per uscire poi dalle foglie sotto forma di vapore acqueo. Nel caso di grandi foreste si genera un ammontare di umidità tale da influenzare addirittura il meteo: più foreste, più acqua disponibile nell’aria, più nuvole, piogge. Naturalmente tutto questo senza contare il ruolo base delle piante come produttori primari: fonte di alimentazione per altri organismi, a loro volta alimento per altri ancora. Oppure possono offrire nascondigli, nidi, rifugi. Sono degli organismi che uniscono nella propria azione sole, terra, aria, acqua ed altri organismi. Non male come sfondo.
Al di là della loro importanza nella biosfera, per noi esiste anche una dimensione tutta umana. Per gli esseri umani le piante sono cibo, medicine, fonte di storie, spesso indistricabili dalla geografia e dalle comunità di un luogo: diventano parte integrante della stessa cultura locale. Nonostante sembri lontano dalla nostra vita di tutti i giorni, questo legame persiste. Basta riscoprirlo.
“L’erba sparta* veniva raccolta lungo la costa da spedizioni di donne, che una volta tornate al paese, ne intrecciavano i fili facendone reti per i pescatori”.
“Tante persone si sono spostate in questa area per l’abbondanza di radica**, che veniva raccolta ed usata per produrre pipe da vendere al resto della regione”.
Queste e altre storie simili sono esempi del contributo che una pianta può dare all’economia, tradizioni, storie di un posto, e non vengono da libri o testimonianze lontane. Sono racconti di mio nonno.
Così senza andare troppo lontano, non è difficile pensare che ognuno possa avere accesso alle proprie storie vegetali: che si tratti di un albero che abbia fatto nascere racconti, oggetti di artigianato, o erbe utilizzate per ricette, poi tramandate. Spesso quando si parla di popolazioni indigene ed il loro legame con l’ambiente si pensa a posti remoti ed esotici, basta abbassare lo sguardo per trovare le nostre comunità locali ed il loro legame con il territorio. Si tratta del paese di fianco.
Le piante non sono solo eredità, ma anche chiave per il futuro. Si stima che ci siano almeno 7039 specie commestibili, ma solo 417 sono coltivate, aprendo possibilità per una agricoltura più diversificata, più sostenibile. Ad oggi inoltre, sono appena 6 specie agricole a produrre circa l’80% di biocarburante: il mondo vegetale si mostra anche fonte di energia, anche qui non ancora utilizzato al meglio. C’è anche il contributo alla medicina: circa il 65% dei medicinali a base di molecole di piccole dimensioni sintetizzati tra il 1981 ed il 2019 è di origine od ispirato da prodotti naturali. Il verde è e sarà inoltre sempre più essenziale per le città, tra mitigazione dell’effetto isola di calore nei mesi caldi – che chi vive in grandi città conosce fin troppo bene – alla protezione da allagamenti, agli effetti benefici provati sulla nostra salute, fisica e mentale.5
Un grande spettacolo di arte varia, dunque, che è tempo di (ri)cominciare a considerare più attentamente. A partire dalla nostra attenzione.
*Ampelodesmos mauritanicus
**Erica arborea
Bibliografia:
- Parsley KM. Plant awareness disparity: A case for renaming plant blindness. Plants, People, Planet. 2020;2:598–601. https://doi.org/10.1002/ppp3.10153
- James H. Wandersee, Elisabeth E. Schussler; Preventing Plant Blindness. The American Biology Teacher 1 February 1999; 61 (2): 82–86. doi: https://doi.org/10.2307/4450624
- Mancuso, S. (2017). A occhi chiusi nel bosco. La Repubblica, visto il 7 Maggio 2022. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/08/27/a-occhi-chiusi-nel-bosco54.html
- Balas B, Momsen JL. Attention “blinks” differently for plants and animals. CBE Life Sci Educ. 2014;13(3):437-443. https://doi.org/10.1187/cbe.14-05-0080
- Antonelli, Alexandre, et al. State of the World’s Plants and Fungi. Diss. Royal Botanic Gardens (Kew); Sfumato Foundation, 2020.
- McDonald, B. (2017). Making Eden – how plants ‘terraformed’ the Earth, CBC Radio, visto il 9 Maggio 2022. Making Eden – how plants ‘terraformed’ the Earth | CBC Radio
- Murray M, Soh WK, Yiotis C, Batke S, Parnell AC, Spicer RA, Lawson T, Caballero R, Wright IJ, Purcell C and McElwain JC (2019) Convergence in Maximum Stomatal Conductance of C3 Woody Angiosperms in Natural Ecosystems Across Bioclimatic Zones. Front. Plant Sci. 10:558. https://doi.org/10.3389/fpls.2019.00558
Grafiche e immagini: Midori Yajima