“… tra le rossastre nubi stormi di uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar.”1
Piccole sagome scure in volo su un cielo distante al tramonto: uccelli in migrazione verso terre lontane. Da sempre, nell’immaginario comune, le migrazioni degli uccelli hanno avuto un ruolo importante. Osservare l’arrivo, o la partenza, di stormi di uccelli sancisce l’inizio delle stagioni, e preannuncia l’avvento di un qualche cambiamento. Ed è proprio per adattarsi al cambiamento che gli uccelli migrano.
Rondini e rondoni in primavera colorano cieli e campi con il loro animoso volo, e l’inverno è accolto dall’arrivo di stormi di storni (Sturnus vulgaris, Linnaeus 1758), che con le loro evoluzioni colmano di ali i tramonti.
La migrazione degli storni (Figura 1) è unica, non solo per la modalità, ma soprattutto per la quantità di individui che, simultaneamente, si riuniscono per spostarsi.
È stato studiato che gli uccelli sfruttano diversi input ambientali e fisiologici durante la migrazione: il campo magnetico2,3, le costellazioni e il sole3, e persino elementi del paesaggio4.
Gli storni migrano su due livelli. All’inizio dell’inverno compiono un grande spostamento, dalle regioni Nord Europee all’Europa Mediterranea, in concomitanza con il calo delle temperature e per evitare le coperture nevose abbondanti, che gli impediscono di alimentarsi.
Questo lungo viaggio, di migliaia di chilometri, termina spesso alle porte di molte grandi città, come Roma.
Andando in profondità, al secondo livello della loro migrazione, quotidianamente milioni di storni migrano di decine di chilometri spostandosi dai rifugi notturni alle aree di alimentazione.
Ogni sera infatti, prima del buio, gli storni si riuniscono in grandi stormi, di centinaia di migliaia di individui, per spostarsi dalle aree di campagna e agricole, alle aree boscate lungo il corso dei fiumi o all’interno delle città.
Milioni di piccoli individui, che insieme formano un unico immenso organismo. Coordinati dagli stessi impulsi, seguendo il volo dei propri vicini5,6, gli storni si spostano in volo sincronizzato, apparendo come una cosa sola.
Ma perché gli storni stanno insieme? Perché migrano ogni giorno?
I mormorii degli storni (da “murmurations”) avvengono per diversi motivi. Come gli esseri umani, anche molte specie di animali sociali hanno bisogno di stare insieme; in questo modo, gli storni, sviluppano importanti interazioni, sfruttando l’unione della migrazione. Comunicano mentre sono in volo, si osservano la sera dai loro posatoi, si formano nuove coppie.
Stare uniti, nella loro migrazione, offre anche calore. Gli storni si raggruppano per stare più caldi, e spesso entrano all’interno delle città per guadagnare qualche grado in più durante la notte7.
E infine, migrare uniti, come un unico enorme organismo, li aiuta a difendersi dai predatori7. I grandi stormi di storni rappresentano una difesa invalicabile, in grado si spaventare persino aquile e falchi. Come in un ecosistema, aumentando la complessità del sistema aumentano le proprietà emergenti: un singolo storno non può difendersi da un grande predatore, ma l’intero stormo di storni può far fronte a molti pericoli con facilità!
La migrazione degli storni, stagionale e giornaliera, è un grande esempio di socialità e rappresenta l’importanza di stare uniti, per affrontare un lungo viaggio più sicuro.
E se gli storni disegnano nel cielo, con lente e sinuose evoluzioni sincronizzate, altre specie di uccelli disegnano tra le onde del mare.
Tra gli uccelli marini del mediterraneo, la berta maggiore (Calonectris diomedea, Scopoli 1769) (Figura 2) ha forse la storia di migrazioni più romantica di tutte.
Nate in una piccola cavità nella roccia, sulle scogliere del Mediterraneo, le giovani berte vivono la loro vita nell’oscurità.
La berta maggiore ha infatti abitudini terrestri crepuscolari e notturne: gli adulti passano l’intera giornata a largo in mare aperto, per poi far ritorno sulla costa, per alimentare i pulcini, solo durante la notte.
Da quel piccolo buco tra gli scogli, le giovani berte osservano il mondo esterno, memorizzando quella che è la loro casa.
Una volta involate, dopo un breve periodo di svezzamento, le giovani berte compiono una lunga migrazione per abbandonare le coste del Mar Mediterraneo: per più di cinque anni non toccheranno mai più la terra ferma.
Alla fine della prima estate, infatti, le berte involate seguono i genitori in una migrazione lungo le coste dell’Africa Occidentale, raggiungendo l’Oceano Atlantico.
Qui, a largo dell’oceano, le berte rimangono in acqua senza mai tornare sulla costa.
Raggiunta la maturità, dopo più di cinque anni, le berte sopravvissute sono pronte per tornare a casa: dal largo dell’Oceano Atlantico, ogni individuo torna esattamente nei pressi del nido di nascita, in cerca di un partner per riprodursi.
È stato studiato che, nonostante la lunga assenza dalle coste del Mediterraneo, le giovani berte siano in grado di ritornare esattamente a pochi metri dal proprio sito di nidificazione8,9.
Una vita spesa a migrare sul mare, per tornare solo di notte sulla terra.
Il mare è però per alcuni migratori un ambiente difficile da superare: molte specie di uccelli veleggiatori, come grandi rapaci e cicogne, infatti, migrano evitando lunghi tratti di mare aperto.
È il caso del biancone (Circaetus gallicus, Gmellin 1788) (Figura 3), una grande aquila che si nutre di serpenti, e che in inverno abbandona l’Europa migrando verso Sud.
Questi grandi rapaci hanno evoluto ali larghe che permetto loro di veleggiare senza sforzi sfruttando correnti ascensionali, prodotte abbondantemente dal calore del suolo sulla terraferma. Meno efficienti però risultano nel volo battuto, che difatti usano di rado, e dunque faticano ad attraversare lunghi tratti di mare, su cui le termiche non si formano. Per questa ragione, la loro rotta migratoria prende quindi una forma “ad anello” intorno al Mar Mediterraneo: i bianconi italiani solitamente passano ad Occidente, per lo stretto di Gibilterra, mentre le popolazioni balcaniche preferiscono la via orientale attraverso l’Anatolia (Figura 4). All’alba del suo primo viaggio, perciò, un giovane biancone nato in italia, dovrà dirigersi a Nord, anziché a Sud, per evitare di rimanere “imbottigliato” in Sicilia, senza trovare termiche sufficienti per raggiungere le coste del Nord Africa. Ma come fanno a sapere tutto ciò?! Dopo anni di osservazioni e ricerche, sembra che molto sia dovuto ad una componente culturale, di apprendimento genitore-figlio, o meglio adulto-giovane: seguendo verso Nord i conspecifici adulti e più esperti, i giovani bianconi imparano la strada giusta e la memorizzano per utilizzarla nuovamente nella stagione successiva10,11.
E cosa capita agli sfortunati che sbagliano rotta? Molti di loro si ritrovano a Marettimo, piccola isola a Ovest della Sicilia, ultimo avamposto raggiungibile prima del grande salto verso la Tunisia. Tra questi, alcuni audaci tentano un ultimo ed estenuante viaggio verso Sud, trovando spesso però la morte in mare. Altri, invece, desistono dal tentare l’impresa e svernano in una Sicilia a loro ignota: sopravvivendo all’inverno potranno trovare di nuovo la strada di casa, verso Nord12.
Le rotte migratorie sono tramandate tra individui e generazioni, a dimostrazione che la migrazione degli uccelli è un processo dinamico, che si evolve nel tempo.
1: San Martino (Rime Nuove, 1887), Giosuè Carducci.
6: Farine, D. R. (2022). Collective action in birds. Current Biology, 32(20), R1140-R1144.
Copertina e grafica Figura 4: Midori Yajima
Foto: Gianluca Damiani