Quella con la fauna selvatica è una delle relazioni più antiche e radicate nel genere Homo. Durante la nostra storia evolutiva molte realtà che ci riguardano sono cambiate: alcune diciamo che si sono evolute, altre le consideriamo ormai abbandonate, ridotte a poco più che un ricordo, ma nei momenti più impensati si ripresentano a rammentarci che abbiamo appena girato l’angolo ed i nostri antenati ci aspettano soltanto pochi passi indietro, alla luce del fuoco in una caverna.
I cinghiali in Italia, così numerosi e imponenti, abitanti ingombranti di boschi, campagne e centri urbani, sono qui proprio a ricordarci che l’Homo perde il pelo ma non il vizio, e che la questione della relazione con la fauna che vive insieme a noi, ora, sul pianeta, non si può evitare: siamo viscosamente connessi a tutto il resto, in quanto parte dello stesso (eco)sistema.
La convivenza con le popolazioni di cinghiale in Italia è un tema attuale e complesso, sulla bocca di tutti. Esemplari di cinghiale sembrano essere ovunque, ed i problemi che vengono loro imputati sono tanti quanto gli individui che li causano4,5. Le realtà umane coinvolte sono numerose, a voler essere sinceri ci siamo dentro tutti, nessuno escluso. In questa serie di interviste ho pensato di dare voce a qualcuna di queste ‘realtà colpite’, amplificando al massimo la voce di chi protesta con forza, di chi è vicino a tirare l’aratro in barca, e di chi invece propone calma e razionalità. Le tre puntate sono state registrate nei primi mesi del 2022, quando la PSA (Peste Suina Africana) bussava con forza alle porte d’Italia, tra Piemonte e Liguria; oggi è una malattia riscontrata anche in alcuni individui presenti nella Regione Lazio8. Mai come in questi momenti sono necessarie un’adeguata informazione e una comprensione a tutto tondo di cosa significhi convivere con questa specie!
Per chi ne avesse piacere sono disponibili, alla fine di ogni intervista, gli audio di ognuna di esse.
L’esperienza dei cacciatori
Che valore (economico, scientifico, ecologico, culturale, ricreativo) ha per lei la presenza del cinghiale in Italia?
Da queste parti (Maremma Toscana) la caccia al cinghiale è cultura, un tradizione tramandata da generazioni2, nel rispetto di questo animale. Ad oggi gli attribuisco quindi un valore ricreativo e culturale, anche se in passato per le famiglie contadine è stato un animale che ha sostenuto molto la tavola. Continua ad essere consumato, soprattutto in inverno, ma non più come trenta o quaranta anni fa.
Secondo la sua opinione la presenza del cinghiale può essere definita di per sé problematica? In che contesto o a che livello, per sua esperienza, risulta problematica? Quali pensa siano le cause?
Penso che la presenza del cinghiale risulta problematica in buona parte per l’agricoltura; in alcuni casi mette i territori e determinate tipologie di colture in ginocchio1. Per me una delle cause è che tanti terreni prima coltivati ora sono abbandonati, e l’animale fatica a trovare cibo.
Pensa che la gestione delle popolazioni di cinghiale in Italia abbia avuto o abbia tuttora qualche cortocircuito? Se si, dove pensa che il meccanismo di gestione si inceppi?
Secondo la mia opinione un problema di gestione sta nel fatto che quest’animale riesce ad accedere a zone dalle quali dovrebbe essere tenuto lontano. Bisognerebbe limitarlo, ma questo non è permesso dalle regole e dalle leggi. Qui nelle mie zone ogni piccola proprietà diventa riserva di caccia e chiunque acquista un terreno lo trasforma in riserva di caccia. Ad oggi ci sono tanti luoghi, dove prima si cacciava, che risultano non più accessibili. Vengono creati ambienti a fondo chiuso tra paesi e città, in contesti altamente naturali; in questi posti non si può più cacciare ed i cinghiali trovano “terreno fertile”. Dove c’è una tabella che indica fondo chiuso nessuno può accedere, dal raccoglitore di asparagi al cacciatore. Questo è il risultato di un lungo conflitto, mal gestito, tra il mondo della caccia e dell’agricoltura.
Ritiene che la popolazione di cinghiale in Italia possa tornare a livelli non più “problematici” per l’uomo senza particolari interventi gestionali da parte di quest’ultimo? Il lupo che ruolo ha in tutto ciò?
L’unico evento in grado di ridurre la densità della popolazione credo possa essere una grossa epidemia, come quella che sta arrivando adesso (in riferimento alla attuale epidemia di peste suina in Italia5), poiché l’uomo ha perso il controllo delle popolazioni di questo animale3. Neanche il lupo riesce in questo intento; a mio parere infatti il lupo può aiutare nel limitare le popolazioni di cinghiale, ma non al punto da evitare i danni nei confronti dell’uomo; ad esempio qui in Maremma, dove abbonda la macchia mediterranea bassa e arbustiva, anche per il lupo non è semplice cacciare il cinghiale.
Cosa in concreto si consiglia da parte delle realtà più colpite per mitigare il conflitto uomo-cinghiale?
Quello che sto per dire potrebbe sembrare una banalità ma, laddove ci sono terreni non più coltivati da nessuno, si potrebbero creare degli spazi seminati con qualsiasi tipo di foraggio, dove l’animale trascorrerebbe molte ore del suo tempo e non si avventurerebbe più in città tra i cassonetti. Questi animali da qualche parte devono mangiare. Recinti, contenimenti e caccia tengono sotto pressione i cinghiali, i quali però hanno fame.
Lei cacciatore come si relaziona con ciò che si propone da parte degli enti amministrativi per mitigare il conflitto uomo-cinghiale?
Gli organi competenti propongono sempre di fare prevenzione, con recinzioni elettrificate ad esempio, ed ogni tanto arrivano fondi dalla regione; la maggior parte dei finanziamenti per limitare il danno li mette però il proprietario del terreno, per cercare di salvare una parte del suo prodotto. Le recinzioni elettrificate migliori sono quelle che ci si auto-finanzia.
L’esperienza degli imprenditori agricoli
Che valore (economico, scientifico, ecologico, culturale, ricreativo) ha per lei la presenza del cinghiale in Italia?
Qui nel nostro territorio (campagne della Lucania) la presenza del cinghiale non rappresenta di certo un valore aggiunto, poiché i danni all’agricoltura sono innumerevoli1! Forse l’unica categoria ad averne beneficiato in queste zone è quella dei cacciatori3.
Secondo la sua opinione la presenza del cinghiale può essere definita di per sé problematica? In che contesto o a che livello, per sua esperienza, risulta problematica? Quali pensa siano le cause?
La presenza dei cinghiali è problematica di per sè. Questo perché in queste zone i loro spostamenti avvengono in branchi numerosi; quando raggiungono i campi appena seminati, con il loro fiuto eccezionale, riescono ad individuare le sementi rendendo vano il nostro lavoro. Altro grosso problema sono gli incidenti stradali in cui sono coinvolti questi animali, che possono essere anche molto gravi.
Pensa che la gestione delle popolazioni di cinghiale in Italia abbia avuto o abbia tuttora qualche cortocircuito? Se si, dove pensa che il meccanismo di gestione si inceppi?
La gestione del cinghiale attualmente la ritengo disastrosa. Una possibile causa può essere stata l’introduzione in passato di altre ‘razze’ provenienti dal centro-europa1,2, le quali hanno trovato coltivi spopolati o abbandonati, e climi favorevoli. Il numero dei capi è cresciuto a dismisura e con le misure attuali non si riesce più a contenere1. L’abbattimento dei capi andrebbe, a mio parere, incentivato.
Ritiene che la popolazione di cinghiale in Italia possa tornare a livelli non più “problematici” per l’uomo senza particolari interventi gestionali da parte di quest’ultimo? Il lupo che ruolo ha in tutto ciò?
Non ci sono i presupposti perché questa situazione possa rientrare senza l’intervento dell’uomo. Si è stimato nel 2016 che in queste zone fossero presenti circa 123 000 capi, a fronte di una sostenibilità da parte del territorio di massimo 22 000 individui. La differenza è notevole! E’ un’impresa difficile ormai trovare soluzioni efficaci per far tornare il numero di cinghiali a livelli accettabili. Non credo tantomeno che il lupo riesca a controllare queste popolazioni: i branchi sono troppo numerosi e difficilmente questo predatore riuscirebbe ad avere la meglio.
Cosa in concreto si consiglia da parte delle realtà più colpite per mitigare il conflitto uomo-cinghiale?
Di certo sarebbero necessari dei finanziamenti maggiori per le recinzioni dei propri campi. Andrebbe prolungato il periodo di caccia e bisognerebbe sterilizzare alcuni capi per evitare una riproduzione eccessiva. Ridurre il numero e la capacità riproduttiva dovrebbero essere gli slogan.
Lei imprenditore agricolo come si relaziona con ciò che si propone da parte degli enti amministrativi per mitigare il conflitto uomo-cinghiale?
Allo stato attuale le amministrazioni provvedono al pagamento di eventuali danni, anche se è ben poca cosa rispetto alle perdite reali che i cinghiali provocano. I coltivatori inoltre si occupano di elettrificare le recinzioni dei loro campi, con molti problemi e difficoltà. Gestire un recinto in una coltura estensiva è molto complicato ed i costi sono alti. Altro tentativo che qui fanno le amministrazioni è quello di prolungare il periodo della caccia o anche l’installazione di gabbie.
L’esperienza dei tecnici delle aree protette
Che valore (economico, scientifico, ecologico, culturale, ricreativo) ha per lei la presenza del cinghiale in Italia?
Per me il cinghiale ha innanzitutto una grande importanza ecologica; è una specie italiana presente sul territorio da migliaia d’anni, e sta pian piano recuperando il suo ruolo dopo essere stata vessata dall’uomo nel corso del XX secolo2. Ha un valore fondamentale per i nostri ecosistemi, a discapito di quanto possano dichiarare cacciatori, tecnici o chi per loro. E’ a pieno titolo una specie della nostra fauna.
Secondo la sua opinione la presenza del cinghiale può essere definita di per sé problematica? In che contesto o a che livello, per sua esperienza, risulta problematica? Quali pensa siano le cause?
No, di per sé il cinghiale non è assolutamente un problema; lo è diventato nel contesto attuale e le cause sono riconducibili esclusivamente all’uomo e ai suoi comportamenti. Ricordiamoci che all’inizio del XX secolo assistevamo ad un’ eradicazione quasi completa della specie dal nostro territorio, rimanendo poche unità sparse tra Toscana, Sardegna e sud Italia2. In seguito abbiamo avuto introduzioni a scopo venatorio e la ripresa delle popolazioni è andata di pari passo con alcuni comportamenti profondamente sbagliati, che ne causano il conflitto con l’uomo: la caccia, il bracconaggio, l’abbondanza di rifiuti o la frammentazione degli habitat a causa dell’infittirsi della rete stradale e ferroviaria.
Pensa che la gestione delle popolazioni di cinghiale in Italia abbia avuto o abbia tuttora qualche cortocircuito? Se si, dove pensa che il meccanismo di gestione si inceppi?
Dunque: partiamo dal termine gestione, nei confronti del quale sono sempre diffidente quando lo si associa alla fauna selvatica. Idealmente un bosco o una popolazione di animali non necessiterebbero di essere gestiti; inoltre noi comprendiamo solo parte delle dinamiche naturali, dunque meno si interviene, a mio modo di vedere la questione, e meglio è. Purtroppo nel contesto in cui ci troviamo servono azioni concrete da parte dell’uomo, ma ahimè!, considero la gestione del cinghiale completamente sbagliata su tutto il territorio nazionale per una serie di motivi, su tutti la mancanza di un approccio sincero e onesto al tema: si seguono gli interessi e le pressioni del mondo venatorio e dei produttori di armi, oltre che le indicazioni di alcuni gestori di aree naturali che additano l’abbattimento di capi come unica soluzione. Tutto questo è immerso in una comunicazione sensazionalista che a poco serve, se non a promuovere idee distorte tra le persone.
Ritiene che la popolazione di cinghiale in Italia possa tornare a livelli non più “problematici” per l’uomo senza particolari interventi gestionali da parte di quest’ultimo? Il lupo che ruolo ha in tutto ciò?
Risponderei si! Servirebbe un cambiamento radicale dei comportamenti ed un nuovo approccio al problema. Eliminando caccia e bracconaggio, interrompendo l’alimentazione artificiale della specie, aumentando la rete di sottopassi e lasciando in pace i lupi, unici predatori naturali del cinghiale, probabilmente in qualche decennio le popolazioni di questi animali tornerebbero naturalmente a livelli non più problematici e ad occupare i loro spazi naturali. L’intervento dell’uomo possiamo dire che in questo caso ci sarebbe, ma indiretto. Per percorrere questa via serve ovviamente una buona dose di volontà.
Attualmente cosa in concreto si propone a livello amministrativo per mitigare il conflitto uomo-cinghiale?
Ad oggi si propone come unica soluzione il prelievo numerico, ma a parere mio è come cercare di svuotare una vasca con un cucchiaino lasciando il rubinetto aperto. Questo lo indicano anche i dati: la popolazione del cinghiale è in crescita nonostante anni di abbattimenti, dunque la politica è fallimentare.
Cosa in concreto si consiglia da parte delle realtà più colpite per mitigare il conflitto uomo-cinghiale? Alcune categorie colpite da questo conflitto promuovono l’ipotesi del cosiddetto ‘foraggiamento a perdere’: coltivare terreni abbandonati in modo tale da fornire foraggio al cinghiale nel tentativo di ridurre i danni ai coltivi veri e propri. Lei come si relaziona con tutto questo?
E’ una proposta che già si leggeva nelle linee guida dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica negli anni ’90, e si ritrova anche nelle linee guida ISPRA7. C’è chi la sostiene e chi non la condivide; personalmente tendo ad essere più in linea con questi ultimi, in quanto con il ‘foraggiamento a perdere’ parliamo comunque di foraggiamento artificiale. Penso sia necessario rimuovere tutto ciò che attrae i cinghiali nei centri urbani, oltre che dissuaderli ad entrare nei terreni coltivati adottando le opportune misure, che ad oggi sono le recinzioni elettrificate. Concludo però dicendo che sul ‘foraggiamento a perdere’ non ho una opinione assolutamente certa, si potrebbe tentare, anche se le soluzioni di cui abbiamo parlato in precedenza sarebbero preferibili.
Bibliografia
2. Il cinghiale (Sus scrofa): una specie che non lascia indifferenti – Mammiferi
4. Cinghiali nel parcheggio del Policlinico Gemelli (romatoday.it)
6. Peste suina africana (salute.gov.it)
8. Peste suina africana (salute.gov.it)
Foto: Gianluca Damiani (Copertina), Giulio Ferrante (Testo, foto cinghiali), Pietro Montemurro (Testo, foto paesaggio)