Qualora decidessimo di cercare e osservare un animale nel suo ambiente naturale sono molti i fattori da tenere in considerazione per raggiungere il nostro obiettivo. Sul piano pratico la prima domanda da farsi sarebbe: “Dove si trova questa specie? In che ambiente la cerco?”; questi interrogativi non sono scontati e rimandano a due definizioni che nella biologia della conservazione sono ben distinte: l’AOO (Area of Occupancy, ovvero la porzione di habitat che la specie fisicamente occupa1) e l’Habitat (il ‘luogo tipo’ dove un animale vive, spesso caratterizzato da una particolare associazione di piante o altre caratteristiche fisiche2).
Il concetto di habitat non va confuso con quello di Nicchia Ecologica. Quest’ultima, infatti, può essere definita come l’insieme di risorse e condizioni ambientali (temperatura, nutrienti, predatori, ecc…) che permettono ad una specie di vivere ed espletare tutte le sue funzioni vitali2. Stabiliti degli intervalli quantificabili entro i quali la specie vive e si riproduce, ad esempio tra 10 e 25 gradi di temperatura o anche 4,5 e 6,5 valori di ph, la sua nicchia ecologica è quello spazio immaginario determinato dall’intersezione di tutti questi valori. Va da sé che più gli estremi di questi valori saranno vicini più il volume sarà piccolo. In un certo senso la nicchia ecologica ci dà una misura di quanto un animale possa essere “esigente”: ci saranno specie ben adattabili e di poche richieste, come il topo domestico (Mus musculus Linnaeus, 1758), ed altre con bisogni più specifici, come il leopardo delle nevi (Panthera uncia Schreber, 1775). Per una specie restringere la nicchia e specializzarsi significa un costante gioco di equilibrio lungo il filo che si tende tra costi e benefici: il leopardo delle nevi avrà effettivamente un ambiente privilegiato e con poca competizione per la caccia, altipiani sopra i 3000 mt di altitudine3, ma le condizioni che egli ricerca sono tanto particolari quanto labili. Non per nulla il leopardo delle nevi risulta classificato come Vulnerabile (VU) nelle categorie a rischio di estinzione della IUCN4.
In questo quadro la Salamandra pezzata (Salamandra salamandra Linnaeus, 1758) (Figura 1), rappresenta un esempio di come richieste ecologiche specifiche possano tradursi in un’esistenza delicata ed affascinante.
Parliamo di un anfibio appartenente all’ordine degli Urodeli, comprendente gruppi di specie che ad una prima occhiata risultano morfologicamente simili a lucertole, ma senza le squame tipiche dei rettili, con una cute tendenzialmente più lucida e colori talvolta sgargianti. La profonda connessione che gli urodeli mantengono con l’acqua è ciò che li contraddistingue: essi infatti associano la riproduzione o addirittura l’intera vita a luoghi umidi quali stagni, fiumi o grotte. La respirazione di questi animali avviene per lo più attraverso la cute, che deve quindi essere mantenuta sempre ben umida. E’ per questo che la salamandra rifugge ambienti aridi, vivendo principalmente in boschi umidi ed ombrosi ed entrando in azione durante la notte, al crepuscolo, al tramonto, o in giornate particolarmente umide. Solitamente la prima fase di vita negli urodeli è uno stadio larvale, il cosiddetto girino, morfologicamente ed ecologicamente diverso dall’adulto; l’aspetto adulto si raggiunge solo in seguito ad un processo di metamorfosi. La salamandra pezzata deve il suo nome alla presenza di una serie di macchie gialle sparse sul corpo a fondo nero; questi colori vistosi oltre a donarle una livrea unica nel suo genere hanno lo scopo di “avvisare” possibili predatori riguardo la sua tossicità: essa secerne infatti un muco contenente un alcaloide con un buon grado di velenosità5. Parliamo di un anfibio che da adulto si nutre di insetti, vermi, lumache ma anche altri anfibi, mentre nelle iniziali fasi di larva la sua alimentazione si basa sui vari organismi che costituiscono il macrobenthos6, vale a dire la comunità di (grandi) invertebrati che vivono sul fondale degli specchi d’acqua: larve di ditteri e libellule, vermi piatti, sanguisughe e scorpioni d’acqua sono solo alcuni degli affascinanti animali che brulicano sul fondale di torrenti, stagni e laghi. La fecondazione nella salamandra è esterna e consiste nella deposizione al suolo da parte del maschio di una spermatofora (tecnicamente un massa di spermatozoi) che viene poi raccolta dalla femmina. In Italia la deposizione delle larve ha luogo durante la primavera, allungandosi a seconda dei casi nei mesi estivi: le salamandre gravide rilasciano le larve in piccole piscine naturali lungo fiumi e torrenti.
Se ci addentriamo nel dettaglio della biologia della salamandra pezzata, essa manifesta i suoi bisogni più stringenti: questi tracciano i limiti di una nicchia ecologica molto personale. Sono relativamente scarsi ad oggi lavori in grado di quantificare con precisione tale nicchia ecologica, e di conseguenza ipotizzare dove e perchè la salamandra preferisca dimorare; a questo proposito uno studio del 2009 di Manenti et al. si interroga riguardo quali possano essere i fattori che giocano un ruolo importante nella distribuzione della specie in Italia7. Stando ai rilevamenti ed i monitoraggi fatti in tutta Italia questo anfibio sembra essere ben distribuito sulle Alpi, mentre tutto cambia scendendo lungo gli Appennini, dove la sua diffusione risulta fortemente localizzata8 e l’AOO si riduce a relativamente pochi boschi che seguono il corso di altrettanti pochi fiumi, il tutto nonostante l’habitat idoneo non sembri mancare. Sono molti i boschi di montagna nell’Italia centro-meridionale, prevalentemente faggete (Fagus sylvatica L., 1753), attraversati da torrenti o fiumi che anche se ben setacciati non hanno manifestato la presenza di salamandra; si aggiunge a tutto questo la testimonianza scritta di aree in cui questa specie era presente ma non è stata più confermata9; si tratta forse di estinzioni locali?
E, se si, quali sono state le cause? Forse è avvenuta una captazione del corso d’acqua dove la salamandra si riproduceva, oppure un inquinante ha modificato le caratteristiche chimiche del torrente, o ancora è stato inserito un allevamento di trote, temibili predatori dei girini di salamandra… Questi ed altri fattori, stando allo studio di Manenti, sembrano influire nella permanenza di popolazioni vitali di questi anfibi: dai modelli storici emerge come la salamandra sembri essere significativamente associata a corsi d’acqua con poco periphyton (la piccola flora che riveste le superfici sommerse), elevata copertura forestale, ricche comunità di invertebrati ed elevata eterogeneità del corso d’acqua7. In altre parole: un fiume che attraversa un bosco, formando piccole pozze alternate a ruscellamenti più veloci e con numerosi micro-organismi ad abitarlo sembra il luogo ideale in cui aspettarsi di trovare la nostra salamandra pezzata (Figura 2).
Di certo l’assenza della salamandra in alcuni habitat idonei lungo i boschi dell’Appennino non è necessariamente riconducibile a cause antropiche, ma può essere dovuta a fattori naturali: qualora ci capitasse di non riscontrare traccia di essa in un luogo che sembra soddisfarne tutte le esigenze potrebbe darsi che magari la salamandra non abbia mai intrapreso la colonizzazione di quel particolare sito, o abbia subito un drastico calo in seguito ad un fenomeno naturale particolarmente accentuato ecc…
Infine non bisogna tralasciare l’ipotesi che la salamandra sia presente ma…nascosta! Potrebbe succedere, nel corso della ricerca, che percorrere un centinaio di metri in più seguendo il fiume risulti fondamentale per rilevarne la presenza, chissà bene per quale ragione. Le popolazioni animali spesso possono manifestare un drastico aumento demografico in relativamente poco spazio: prima di allontanarsi dalla zona che soddisfa appieno ogni esigenza ecologica, gli individui tenderanno infatti a colonizzarla fino a che possibile. E se a questo si aggiunge magari che la popolazione locale conta pochi esemplari, allora anche tanti rilevamenti rischierebbero di risolversi in un nulla di fatto.
Lo zoologo in questione, il biologo o chi per loro affermasse con un buon grado di certezza l’assenza della salamandra, è ignaro che in realtà a poche centinaia di metri dal luogo della ricerca, magari lungo le sponde di un torrente difficilmente accessibile, questo piccolo anfibio continua imperturbabile a vivere e riprodursi all’interno della sua delicata nicchia ecologica.
Non sempre possiamo scoprire e conoscere tutto.
Bibliografia:
2. Fryxell, John M., Anthony RE Sinclair, and Graeme Caughley. Wildlife ecology, conservation, and management. John Wiley & Sons, 2014.
4. https://www.iucnredlist.org/species/22732/50664030
9. IUCN | Salamandra salamandra
Foto di copertina: Gianluca Damiani
Foto nel testo: Pietro Montemurro